The Others View

Nel 2019, alla sua nona edizione, The Others Art Fair ha deciso di dotarsi – a conclusione del primo anno della direzione artistica del sottoscritto – di un nuovo strumento di riflessione e di indagine: una rivista online. Tale scelta è collegata a tre questioni fondamentali che voglio affrontare in questo redazionale.

La prima questione riguarda il motivo per cui The Others si è trovata ad adottare una struttura rigida e ormai obsoleta di informazione come quella della rivista, pur essendo fruibile online. Sembrerebbe apparentemente uno strumento non adatto all’attuale comunicazione – immediata, smaterializzata e globalizzata –, che grazie alle innumerevoli app ci rende tutti produttori di informazioni, e non più soltanto dei consumatori. In realtà proprio la struttura della rivista risulta essere perfetta per stabilire un dibattito propositivo durevole nel tempo, a differenza dei social media che evidenziano frammentariamente l’esistenza di innumerevoli progetti diversi in un dato istante, ma slegati rispetto al tutto.

The Others nella sua ultima edizione ha deciso di ripensare a tutta la comunicazione sui social con la collaborazione degli studenti di alcune prestigiose accademie italiane; tuttavia, proprio quando ci si stava avviando verso questa direzione, si è resa evidente la mancanza di qualcosa. Con il modello rivista – i cui corrispondenti cambiano ad ogni edizione – è possibile non soltanto creare una rete, ma anche estendere al di là della durata della fiera una riflessione più ampia e strutturata, e non semplicemente limitata agli spazi che partecipano all’evento di Torino. Così, all’interno di questa nuova rivista divisa in rubriche, trovano posto i racconti in prima persona dei curatori, delle istituzioni e degli spazi espositivi che puntano a strategie comunicative alternative rispetto a quelle adottate dall’attuale sistema dell’arte. Lo scopo non è esclusivamente quello di informare sulle varie esperienze di auto-organizzazione a livello internazionale, bensì quello di ragionare su qual è l’elemento comune che anima tali progetti, al fine di creare un’azione collettiva e comune di rinnovamento del sistema. Quest’ultimo è in crisi ormai da tempo: gli errori endogeni sono stati ampiamente analizzati negli ultimi venti anni ed è risultato evidente che la soluzione non consiste nell’utilizzo di nuove tecnologie per raggiungere il più ampio numero di audience – come invece avviene–. Il pubblico, oggi, è attivo e interattivo e dobbiamo tenere conto di questo anche nella produzione e nelle modalità di fruizione dell’arte e della sua economia. Di conseguenza, la scelta dello strumento rivista da una parte equivale a dare continuità nel corso dell’anno ai dibattiti emersi nei giorni della fiera per allargarli a un numero maggiore di attori, e dall’altra anche di reagire all’attuale perdita di memoria dovuta all’eccesso di informazioni risultante in un’apatia generalizzata. Questo sembra essere l’unico modo – come dimostra la rinascita della fanzine in ambito femminista e in quello legato al dibattito sul post-colonialismo – per evitare l’estetizzazione e la personalizzazione delle informazioni di cui le fake news sono solo un aspetto laterale.

La seconda questione riguarda il perché una fiera come The Others dovrebbe dotarsi di una rivista che non presenta soltanto i temi e gli addetti ai lavori coinvolti nell’evento di tre giorni. Non esistono esempi di questo tipo se non quello di Frieze, sebbene in questo caso rivista e fiera d’arte siano due entità autonome non in dialogo tra loro. Il suo percorso è stato inverso: da una rivista di ricerca nata nel 1991 che speculava sulle nuove tendenze dell’arte, è nata poi nel 2003 una fiera che voleva imporre un nuovo establishment. Nel caso di The Others nel 2011, invece, dotarsi di una rivista aveva a che fare con la necessità di interrogarsi sulla sua natura e raison d’être. Quando è stata fondata, The Others voleva rivolgersi agli ‘altri’, a tutti coloro che si ponevano in modo alternativo al nuovo sistema – da spazi non profit a giovani curatori, da nuove gallerie a collezionisti –. Era un modo per interrogarsi su come il sistema stava cambiando e doveva cambiare nella società economica, che procedeva spedita verso un modello finanziario produttore di servizi invece che di oggetti, e che di conseguenza stava trasformando i consumatori in produttori dando vita alla crisi dei musei, delle riviste e delle fiere per come erano impostate fino a quel momento. Per questa ragione The Others ha adottato fin dall’inizio l’inclusione di spazi di ricerca non profit e di giovani gallerie all’interno del proprio sistema economico, non più separabile dalla comunicazione in generale, come hanno dimostrato prima il fenomeno degli youtuber e degli influencer poi. Infatti la fiera risultava il modello migliore per tutti questi spazi nati dal 2005 in poi per farsi notare a livello internazionale e per ottenere, grazie alla vendita di opere, la possibilità di finanziare i loro futuri programmi senza incorrere in pratiche assistenzialiste. Si tratta di spazi che, a differenza dei loro predecessori degli anni ‘60, non nascono come protesta e rifiuto dell’ingerenza economica nella valorizzazione della ricerca artistica, ma hanno l’intento di produrre modalità economiche e di valore alternative al modello globale. Questo ha determinato la particolare identità di The Others, ossia una piattaforma di scambio di strategie e di idee in cui possono convivere spazi non profit, giovani gallerie, progetti sperimentali. Oggi, nel 2020, adottare lo strumento rivista vuol dire amplificare questa modalità e applicarla durante tutto il corso dell’anno. I temi centrali e indicativi per le scelte delle differenti rubriche e dei molteplici corrispondenti rispondono principalmente a due domande: 1) Cosa intendiamo oggi con la parola indipendente? Indipendente da cosa e da chi? E, soprattutto, per ottenere cosa? 2) A cosa pensiamo se parliamo di sperimentazione e ricerca artistica, considerando che tutto è già stato sperimentato a livello di new media, o così sembra?

La terza questione è connessa alle modalità operative che The Others ha scelto di seguire dalla sua nona edizione, svoltasi a novembre 2019 nella ex Caserma Riberi di Torino, mettendo al centro una nuova idea di produzione partecipativa. La fiera ha infatti coinvolto giovani studenti selezionati precedentemente da cinque accademie italiane nei processi di lavoro legati alla comunicazione sui social, alla didattica e alla creazione del canale Youtube. Il gruppo di studenti dell’Accademia di Brera di Milano si è occupato della creazione del canale YouTube, curando le rubriche e i contenuti e dialogando direttamente con il pubblico e gli artisti presenti; gli studenti dell’AANT (Accademia di Arti e Nuove Tecnologie) di Roma si sono occupati delle strategie della comunicazione digitale per Instagram e Facebook, creando una narrazione che non sostituiva la visita diretta, ma la ampliava; il progetto di documentazione fotografica realizzato dagli studenti dello IED di Torino, invece, si è svolta sotto forma di workshop che si focalizzava sul catturare il momento di un gesto unico, che doveva essere poi equilibrato con la possibilità di veicolare al meglio i contenuti legati alle opere in mostra; gli studenti dell’accademia di Reggio Calabria si sono occupati del ruolo di mediatori culturali e delle attività legate a percorsi guidati, che tenevano conto del luogo particolare in cui si svolgeva la fiera e della natura site specific delle singole opere; infine lo IUAV di Venezia, con la supervisione di Angela Vettese, ha deciso di lavorare sulla raccolta dei materiali legati ai talk della web tv al fine di creare nuovi contenuti per far nascere nuovi dibattiti sui social.

Tale impostazione ha permesso un vero lavoro di interdisciplinarietà mettendo in dialogo studenti di accademie e dipartimenti differenti, come nel caso di Brera i dipartimenti di studi curatoriali e di nuove tecnologie. Un approccio di questo tipo vuol andare oltre al solito sistema di stage, perché vuole rendere autonomi nelle loro decisioni i singoli gruppi di lavoro. La scelta è stata quella di metterli nella posizione di organizzare tali canali di informazione inserendoli dentro ai processi di The Others, in modo da poter imparare tutti nel corso della loro esperienza lì. Questo costituisce l’unico modo per comprendere appieno il punto di vista delle nuove generazioni – molto legato alle potenzialità della comunicazione – oltre che l’unica strada possibile per creare nuove professioni nel settore dell’arte, e per evitare che le esigenze dell’arte debbano adattarsi a sistemi già sviluppati per altri settori. Da questa presa di coscienza è nata l’idea di migrare verso lo strumento rivista, che permette alle collaborazioni delle scuole dimostrare il loro lavoro nel corso dell’anno e finalmente di dare voce a curatori e artisti che decidono di lavorare in maniera alternativa. Nel sistema rivista sarà possibile così creare un vero collegamento tra generazioni differenti – come lo staff o i galleristi intervenuti al progetto – senza dimenticare che siamo in un momento di perenne formazione, considerata la continua mutazione dei contesti e degli strumenti con cui interagirvi.

Le tre questioni qui sopra indagate sono accomunate dall’esigenza di The Others di condividere con un pubblico più ampio le ricerche, le analisi e le indagini attorno ai progetti alternativi più interessanti presentati in quell’edizione, oltre al fatto di permettere loro di confrontarsi su modalità e obiettivi comuni. La rivista però non è soltanto questo, visto che vuole essere soprattutto uno strumento di aggiornamento e di indagine sulle esperienze più interessanti in contesti particolari. Queste ricerche non sono limitate agli spazi che parteciperanno a The Others, ma anzi spazieranno in modo da permettere di condividere con il pubblico e gli altri addetti ai lavori gli interessi e le riflessioni dei curatori del board di quell’anno per aggiornarsi al meglio sui fatti del sistema dell’arte. Questo naturalmente influirà sulle scelte finali del board curatoriale nella selezione degli spazi, nell’organizzazione dei temi per la web-tv e nell’impostazione di quella specifica edizione.

La presente rivista online per poter essere un luogo di aggiornamento è stata impostata per avere quattro uscite annuali ed è divisa in rubriche:

  • Skyline: si tratta di articoli legati ad indagini su quelle città in cui spazi non profit, progetti speciali e giovani gallerie contribuiscono in quel momento a trasformare il territorio e a farsi promotori di nuove energie. Nei primi numeri saranno prese in considerazione città come Lisbona e Istanbul;
  • Face to Face: è una raccolta di interviste ai protagonisti del sistema dell’arte per riflettere su come il sistema sia cambiato negli ultimi decenni rispetto anche alla nuova comunicazione immateriale e globalizzata;
  • Revolving door: contiene articoli teorici su alcuni temi toccati dalle nuove generazioni di artisti e curatori che vanno dal tema dell’ironia nell’arte che ha caratterizzato l’ultimo decennio alla trasformazione del medium della performance a partire dal 2000 – che da opera che utilizza il corpo dell’artista si è concentrata sulla messa in scena del tempo dell’opera in dialogo con quella dello spettatore.
  • Inchieste: è la sezione dedicata a brevi interviste ai protagonisti di settori specifici come collezionisti italiani, fiere alternative a livello mondiale o progetti di didattica museale con cui misurare gli interessi di alcuni settori in quel momento specifico.

 

Il primo numero di ogni anno. Questo numero presenta un’eccezione alla suddivisione in rubriche poiché è riporta i risultati del dibattito emerso nel corso dell’ultima edizione precedente di The Others. Questo numero in effetti è l’unico che è impostato come traccia di un evento e si riferisce direttamente ai temi e alle proposte emerse durante i giorni della fiera. Gli altri tre numeri si concentreranno su riflessioni teoriche e indagini sulle energie interessanti adesso sul territorio – indipendentemente dalla loro partecipazione a The Others – al fine di osservare il processo di analisi per produrre l’edizione successiva.

Perciò, perché The Others art fair dovrebbe realizzare una rivista online? Per proporre possibilità di dialogo in una prospettiva organica. Questo è l’unico modo per sviluppare un pensiero critico collettivo che non si limiti a celebrare la libertà di informazione posseduta dal singolo cittadino nell’attuale informazione digitale e globalizzata. The Others View non punta solo a creare una forma di scambio di informazioni ed esperienze, ma anche a creare un contenitore – la rivista online –, che faccia sedimentare le varie esperienze e osservare questi dibattiti proposti in prospettiva. Oggi c’è ancora più bisogno di questo tipo di piattaforma che è l’unica che permette, tramite un dibattito aperto, di attivare una serie di meccanismi di produzione di senso, comunicazione e di nuovo marketing.

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